30 Maggio — 20 Luglio 2024
testo critico di Flavia Matitti

Maja Arte Contemporanea è lieta di annunciare la prima collaborazione della galleria con l’artista Fosca.

Di madre veneta e padre olandese, Fosca torna ad esporre in Italia dopo il suo debutto a Venezia nel 2015 al Museo Correr, presentando un inedito corpo di opere a cui lavora dal 2018.

Undici dipinti e tredici disegni conducono lo spettatore in un viaggio fantastico dove, navigando di costellazione in costellazione seguendo il dipanarsi di un filo che segna traiettorie tra le stelle, si esplora una immaginaria mappa astrale, animata nel suo percorso da figure antropomorfe a rappresentare antichi miti a cui l’artista – nella sua personalissima reinterpretazione – regala nuova vita, nuove occasioni e parrebbe, in taluni casi, un inusuale lieto epilogo.

«Ho un ricordo che mi porto dietro da anni, da quando, dopo aver trascorso mesi in mare, il movimento costante delle onde era diventato il mio terreno, il mio nuovo equilibrio. Una notte all’àncora mi sono sdraiata spensierata a guardare il cielo e mi sono sorpresa a vedere le stelle muoversi sopra di me, come se qualcuno facesse andare avanti e indietro il disco celeste. Io ero immobile e il cielo si muoveva. Non ho cercato di distinguere le costellazioni, ma ho visto le mie, come se i miei ricordi fossero proiettati tra i punti di luce. Così ho iniziato a disegnare il mio diario, a cucire pezzi di memoria, di sentimenti. Ognuna di queste opere è una lettera scritta al cielo notturno, alla volta celeste».

“Con queste parole Fosca rievoca l’esperienza che, alcuni anni più tardi, l’ha portata a realizzare un ciclo di opere dedicate alle costellazioni.” – scrive Flavia Matitti nel testo pubblicato in catalogo. “Undici dipinti e un gruppo di disegni, presentati qui per la prima volta, sono il risultato di un lavoro intenso, appassionato e meticoloso che, iniziato sei anni fa, nel 2018, è tuttora in pieno sviluppo creativo. Il tema, come si è visto, scaturisce da una sorta di rivelazione che l’artista ha avuto osservando la volta celeste da una barca. E forse è per questo che, guardando i suoi cieli stellati, si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte a una distesa marina increspata dalle onde, un paesaggio che appartiene al mondo onirico e all’inconscio.

La fascinazione di Fosca per gli astri, del resto, non si traduce nella semplice illustrazione di fenomeni astronomici o di figure astrologiche tradizionali, piuttosto la volta celeste diviene per l’artista un fondale sul quale proiettare speranze, ricordi, paure, sogni e desideri. Le costellazioni create da Fosca, infatti, contengono un riflesso autobiografico e perciò si possono considerare anche come psicografie dei suoi stati d’animo. Le sue originali personificazioni dei corpi celesti sono immagini simboliche che alludono, con delicatezza e ironia, a esperienze vissute. Al tempo stesso, però, le stelle introducono in una dimensione alternativa alla realtà. Una dimensione occulta, che favorisce il sogno e l’introspezione, conducendo alla scoperta di sé e della propria strada. In fondo è quello che gli uomini hanno sempre fatto fin dall’antichità: rivolgere lo sguardo al cielo stellato per potersi orientare e per divinare il futuro. A tutte le latitudini stelle e pianeti sono divenuti dèi ed eroi protagonisti di miti e leggende. E a seconda dei luoghi e delle culture le costellazioni hanno assunto nomi e sembianze differenti, subendo nel corso del tempo continue metamorfosi. […]

Questi lavori sono il risultato di una grande perizia tecnica, di una profonda conoscenza della mitologia e di un’inesauribile fantasia. L’insegnamento che alla fine si può trarre da questa galleria di storie di personaggi celesti, creature fluide e meravigliosamente queer, è di continuare a sperare e meravigliarsi. Le stelle sono un sogno leggero che indica il cammino.”

Selezione opere

Fosca
Elephantus, 2018
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Coranae, 2020
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Magno Lio, 2022
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Elephantus, 2018
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Coronae, 2020
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Magno Lio, 2022
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Centaurina, 2023
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Medusa, 2024
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Virgolino, 2022-2023
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Centaurina, 2023
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Medusa, 2024
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Virgolino, 2022-2023
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Andromeda, 2020
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Andromeda, 2020
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Flexa Ranula, 2018
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Aries, 2019
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Tigriz Gaudens, 2021
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Cassiotopa, 2021-2022
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Aries, 2019
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Tigriz Gaudens, 2021
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Cassiotopa, 2021-2022
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Testo critico

Il firmamento di Fosca

di Flavia Matitti

Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere;
per essere una persona;
secondo che ho inteso molte volte da’ poeti.
Giacomo Leopardi, Operette morali, 1824

 

«Ho un ricordo che mi porto dietro da anni, da quando, dopo aver trascorso mesi in mare, il movimento costante delle onde era diventato il mio terreno, il mio nuovo equilibrio. Una notte all’àncora mi sono sdraiata spensierata a guardare il cielo e mi sono sorpresa a vedere le stelle muoversi sopra di me, come se qualcuno facesse andare avanti e indietro il disco celeste. Io ero immobile e il cielo si muoveva. Non ho cercato di distinguere le costellazioni, ma ho visto le mie, come se i miei ricordi fossero proiettati tra i punti di luce. Così ho iniziato a disegnare il mio diario, a cucire pezzi di memoria, di sentimenti. Ognuna di queste opere è una lettera scritta al cielo notturno, alla volta celeste».

Con queste parole Fosca rievoca l’esperienza che, alcuni anni più tardi, l’ha portata a realizzare un ciclo di opere dedicate alle costellazioni. Undici dipinti e un gruppo di disegni, presentati qui per la prima volta, sono il risultato di un lavoro intenso, appassionato e meticoloso che, iniziato sei anni fa, nel 2018, è tuttora in pieno sviluppo creativo. Il tema, come si è visto, scaturisce da una sorta di rivelazione che l’artista ha avuto osservando la volta celeste da una barca. E forse è per questo che, guardando i suoi cieli stellati, si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte a una distesa marina increspata dalle onde, un paesaggio che appartiene al mondo onirico e all’inconscio.

La fascinazione di Fosca per gli astri, del resto, non si traduce nella semplice illustrazione di fenomeni astronomici o di figure astrologiche tradizionali, piuttosto la volta celeste diviene per l’artista un fondale (forse una suggestione dovuta al nonno materno scenografo?) sul quale proiettare speranze, ricordi, paure, sogni e desideri. Le costellazioni create da Fosca, infatti, contengono un riflesso autobiografico e perciò si possono considerare anche come psicografie dei suoi stati d’animo. Le sue originali personificazioni dei corpi celesti sono immagini simboliche che alludono, con delicatezza e ironia, a esperienze vissute. Al tempo stesso, però, le stelle introducono in una dimensione alternativa alla realtà. Una dimensione occulta, che favorisce il sogno e l’introspezione, conducendo alla scoperta di sé e della propria strada.

In fondo è quello che gli uomini hanno sempre fatto fin dall’antichità: rivolgere lo sguardo al cielo stellato per potersi orientare e per divinare il futuro. A tutte le latitudini stelle e pianeti sono divenuti dèi ed eroi protagonisti di miti e leggende. E a seconda dei luoghi e delle culture le costellazioni hanno assunto nomi e sembianze differenti, subendo nel corso del tempo continue metamorfosi.

Solo un secolo fa, nel 1922, l’Unione Astronomica Internazionale ha fissato definitivamente a 88 il numero delle costellazioni ufficialmente riconosciute, rendendo omogenea la produzione delle carte celesti. In precedenza, invece, agli astronomi era richiesto di calcolare con precisione la posizione delle stelle in cielo, ma veniva accordata loro una certa libertà di esercitare la fantasia sia nel modo di collocare entro confini immaginari i raggruppamenti stellari, sia sul nome da dare alle costellazioni. Così, ad esempio, nel 1799 l’astronomo francese Jérȏme Lalande, noto per essere un amante dei gatti, introdusse la costellazione del gatto, o Felis, nel firmamento celeste, una costellazione oggi caduta in disuso proprio in seguito alla decisione presa nel 1922 dalla comunità scientifica internazionale. Col suo lavoro Fosca sembra invece rivendicare la libertà di continuare a inventare nuove costellazioni o reinterpretare quelle esistenti.

Nata da mamma veneta e papà olandese, Fosca ha studiato arte a Parigi, frequentando una scuola di grafica per cinque anni e seguendo i corsi di anatomia all’Accademia di Belle Arti. In seguito, si è spostata a Venezia per imparare le tecniche antiche dell’incisione presso la Bottega del Tintoretto, dove è rimasta due anni. Successivamente si è trasferita in Brasile per amore e attualmente vive tra Rio de Janeiro, Parigi e Milano.

Le tecniche classiche dell’incisione hanno dunque rivestito un ruolo importante nella sua formazione e le stampe antiche rappresentano, per il suo lavoro, anche una inesauribile fonte di ispirazione. Tra i suoi maestri preferiti figura Albrecht Dürer autore nel 1515, in collaborazione con l’astronomo Conrad Heinfogel, di una celebre carta celeste, una xilografia raffigurante i due emisferi, boreale e australe. Con questa impresa, notava Jean Seznec nel suo saggio intitolato La survivance des dieux antiques (1940), Dürer è riuscito a ridare vigore alle immagini delle costellazioni che, nel Medioevo, erano state ridotte a banali figure lineari. In modo molto suggestivo, Seznec riconosceva quindi al grande artista tedesco del Rinascimento il merito di aver restituito agli antichi dèi ed eroi celesti la loro vita intima e la loro esistenza favolosa. Due qualità che si sentono palpitare ancora oggi nei personaggi astrali, vitali e umanissimi, creati da Fosca.

Nel realizzare le opere che fanno parte del ciclo dedicato alle costellazioni, tuttavia, Fosca non ricorre alle tecniche dell’incisione, come potrebbe sembrare a un primo superficiale sguardo. I lavori su carta, infatti, sono eseguiti con piccoli tratti a inchiostro nero giapponese, tracciati con un pennino direttamente sul foglio, senza l’ausilio di un disegno preparatorio. I dipinti sono realizzati su tele di lino dalla trama molto sottile, fissate su un supporto di legno, preparate con il gesso e ricoperte con diversi strati sovrapposti di colore blu, rosso e bianco che vengono poi scartavetrati per ottenere le sfumature del fondo e renderlo vibrante, in modo da evocare le profondità luminescenti del cosmo. Alcune stelle sono quindi inchiodate sulla tavola e talvolta collegate tra loro con dei fili di cotone per farle diventare costellazioni, ma anche per sottolineare concretamente il legame esistente tra fantasia e realtà. L’esecuzione di queste opere prevede dunque l’alternanza di momenti in cui prevale un gesto pittorico delicato, intimo e minuzioso, con altri in cui emerge un gesto più aggressivo, quasi violento. Talvolta Fosca scartavetra la tela con una tale forza da strapparla e deve intervenire a ricucirla. E a pensarci bene, non sembra un caso che la tela più consumata e rammendata di tutte sia quella dedicata all’amore: la costellazione di Elephantus (2018), che ha dato il via a questo ciclo di opere. La costellazione mostra una figura femminile, con la testa di elefante, seduta sul cavallo di una giostra, un simbolo dell’incostanza dell’amore, perché sale e scende, va e viene senza mai fermarsi. L’elefante è noto per la sua proverbiale memoria che, secondo Fosca, è il bene più prezioso che abbiamo, perché definisce la nostra storia, chi siamo. Al tempo stesso, data la proboscide, l’elefante è anche considerato un essere fallico, cosa che rende la figura femminile a cavallo quanto mai misteriosa e indefinibile.

Un’altra cosa da notare è che l’artista scrive nelle sue mappe celesti i nomi degli astri in greco o in latino, come si faceva nelle antiche carte del cielo. Talvolta, però, si tratta di parole moderne, inventate, che acquistano un significato solo in altre lingue. In Elephantus, ad esempio, compare l’immagine di un quadrifoglio, simbolo di fortuna, con accanto l’iscrizione Quadrifolium, una parola che, in realtà, non esisteva presso gli antichi romani. Così come nella notturna opera intitolata Coronae (2020), dove protagonista è un cavallo imbizzarrito che porta sulla testa il mondo e sulla groppa la Giustizia, si legge l’iscrizione Coronae Spinus, una combinazione di parole inventata dall’artista per alludere alla drammatica, recente esperienza del Coronavirus. Altre volte Fosca, che parla correntemente sei lingue, ricorre all’alfabeto greco, ma spesso lo usa per scrivere parole il cui suono, quando vengono pronunciate, rimanda a un’altra lingua. Nell’opera intitolata Centaurina (2023), ad esempio, accanto all’immagine di una coppia di colombi si trova scritto in greco ρυκυ λιαμ (“ruku-liam”), un gioco di parole per assonanza. La pronuncia di queste parole, infatti, suona come l’espressione francese roucouler, che significa tubare e si usa sia per indicare il verso tipico del rituale del corteggiamento dei colombi, sia scherzosamente per gli innamorati che si scambiano gesti teneri e affettuosi. In qualche caso, poi, nelle sue mappe l’artista ha inserito le iniziali del nome di persone che hanno attraversato la sua vita. Quindi anche le iscrizioni presenti in queste mappe celesti sono usate con grande libertà e fantasia, spesso a creare arguti calembour, che risvegliano e sollecitano la partecipazione interpretativa dell’osservatore.

Tornando alle costellazioni, Andromeda (2020) è immaginata dall’artista come una donna sensuale – indossa un abito scollato, tacchi a spillo, smalto alle unghie – ma è anche una donna moderna, energica. La principessa, infatti, si libera da sola dalle catene che la legavano allo scoglio, in attesa del mostro marino che l’avrebbe divorata. Senza aspettare l’intervento dell’eroe, Perseo, Andromeda invece se ne va, sfoggiando sulla testa un bel paio di orecchie di coniglio, trainata dai pesci dell’omonimo segno zodiacale.

Nella tradizione astrologica all’Ariete si attribuisce di solito una personalità dura, testarda, mentre l’artista raffigura il suo Aries (2019) come un uomo (solo la testa ricorda l’animale) sdraiato in una posa languida e sognante.

Il Leone, chiamato Magno Lio (2022), ha testa leonina e corpo umano, è vestito in abiti rinascimentali, appare un po’ effemminato, e ha un’espressione che è un misto di ferocia e gentilezza. Ricorda la figura della Bestia in certe illustrazioni tarde della fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont La Belle et la Bête (1756). Magno Lio ammansisce un mostro che è uno strano incrocio tra l’Idra e Cerbero. Le otto teste di cane del mostro hanno ognuna un’espressione diversa, cosa che rimanda alla passione di Fosca per gli animali, un soggetto che ha indagato a fondo in altre occasioni.

Vale la pena, inoltre, osservare la cura che l’artista mette nei dettagli, in particolare nella resa dei motivi decorativi delle stoffe degli abiti, come si può vedere, per esempio, nella costellazione intitolata Aquarius (2019), che combina la figura dell’Aquario con quella del Capricorno.  Oppure in Cassiotopa (2021-2022), dove un Toro umanizzato, senza corna e senza spada, osserva con curiosità il piede della topolina, che ha dei peli che le crescono sotto la pianta, come suggerisce anche l’iscrizione posta lì accanto πελοσιποδι (“pelosipodi”). La scena appare come sospesa, difficile immaginare cosa accadrà dopo.

Sul tema del risveglio della sensualità è incentrata l’opera Tigriz Gaudens (2021), che mette in scena due creature fantastiche, ma molto umane, una donna-tigre e un fauno con la testa di unicorno. Le due figure appaiono una rivisitazione della lunga tradizione di immagini erotiche che vedono protagonisti la ninfa dormiente insidiata dal fauno.

Nel caso del Sagittario, al posto della classica figura del centauro, Fosca immagina un centauro femmina, una Centaurina (2023), incarnazione della forza gentile. Centaurina è in grado di tenere a bada con la sola dolcezza il temibile lupo Fenrir della mitologia germanica, che gli dèi avevano dovuto legare perché non provocasse la fine del mondo.

Il segno zodiacale della Vergine è reinterpretato da Fosca dando vita alla figura di Virgolino (2022-2023), un uomo vergine, dall’espressione tenera, ben vestito in un fantasioso costume, forse teatrale. Ha la testa d’asino, un animale che, secondo l’artista, non è testardo come si crede di solito, semplicemente non avanza se non si fida dell’umano che lo guida.

L’ultima opera finora realizzata sul tema delle costellazioni è quella dedicata a Medusa (2024), che non è immaginata come un mostro, nonostante i suoi capelli siano già stati tramutati in serpenti da Atena, secondo quanto narra il mito. Medusa appare come una bellezza botticelliana, delicata e sognatrice, che tiene con la mano sinistra l’ouroboros, il serpente (o drago) che si morde la coda, antichissimo simbolo della circolarità del tempo. E chissà, forse Perseo non riuscirà a ucciderla. Inoltre, a differenza di Virgolino e Centaurina, realizzate immediatamente prima di questa, la figura di Medusa non è racchiusa in uno spazio ovale, ma è lasciata libera anche dai fili di cotone che in altre opere congiungono tra loro le stelle.

In conclusione, questi lavori sono il risultato di una grande perizia tecnica, di una profonda conoscenza della mitologia – tra l’altro è un piacere sentire Fosca narrare le storie dei suoi personaggi – e di un’inesauribile fantasia. L’insegnamento che alla fine si può trarre da questa galleria di storie di personaggi celesti, creature fluide e meravigliosamente queer, è di continuare a sperare e meravigliarsi. Le stelle sono un sogno leggero che indica il cammino.

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