Pandaisía – dal greco pan (tutto) e daisía (banchetto sacro) – evoca un’idea di abbondanza e condivisione, di festa rituale e generosa celebrazione della vita. È questo lo spirito che anima i quindici inediti dipinti su tela di Georgina Spengler, che in mostra compongono un universo in cui il sogno prende forma e la visione si fa desiderio: un’utopia del pieno, un altare laico dell’immaginazione che accoglie lo spettatore nel cuore di una creazione fertile, luminosa e insieme inquieta.
Nelle tele di Spengler l’opulenza vegetale si dispiega con una ricchezza ornamentale che richiama, per costruzione e ritmo, i motivi floreali e intrecciati di William Morris. Tra foreste rigogliose, fitte di girali e fogliami sontuosi, l’artista innesta presenze più silenziose e fragili: specie botaniche e animali minacciati che affiorano come apparizioni preziose. Non è un caso che molti titoli delle opere rimandino a queste forme di vita a rischio, trasformando ogni dipinto in un archivio poetico e insieme scientifico.
“Una pittura che costruisce mondi, nei quali il suggerimento etico e la citazione colta si contrappongono e si mescolano, confluendo in un insieme armonico […]” – scrive Maria Arcidiacono. “È come se l’artista volesse generosamente nutrirci di grazia, per poi condurci alla constatazione della ineluttabile realtà – talvolta anche mostruosa – che inesorabilmente vi si annida, minacciandola.”
Il risultato è un equilibrio sottile tra incanto e allarme: l’eleganza seducente dei motivi ornamentali convive con la consapevolezza di una possibile perdita, mentre lo sguardo dello spettatore oscilla tra fascinazione e consapevolezza critica. È in questo spazio che la pittura di Spengler vibra, trasformando le ombre in tensione vitale.
Pandaisía è dunque celebrazione e monito, festa visiva e meditazione etica: un banchetto pittorico che intreccia denuncia e joie de vivre, invitandoci a desiderare con forza la sopravvivenza di ciò che nutre l’umanità e dà senso al nostro abitare il mondo.
Selezione opere
Gallery
Testo critico
Pandaisía
di Maria Arcidiacono
Nelle opere di Georgina Spengler, il confine, pur nella sua nitida definizione, tende spesso a voler superare il perimetro fissato sulla tela, tanto che in mostra, l’artista propone un’opera il cui supporto si sdoppia, lasciando posare la tela sulla propria anima enunciante di carta, dove la grafia del grande motivo vegetale trova ampio spazio per nuovi sviluppi e diramazioni. Gli accordi cromatici ai quali dà vita non sono certo casuali: non con quell’equilibrio di tonalità e di sintonie complementari, né con quella scelta di campiture e di tessiture diverse l’una dall’altra. Grazie all’artista, che ne governa con padronanza i segreti, la pittura a olio gioca pienamente ed efficacemente tutti i ruoli che le competono, velature comprese.
Una pittura che costruisce mondi, nei quali il suggerimento etico e la citazione colta si contrappongono e si mescolano, confluendo in un insieme armonico, visivamente piacevole. Spengler costruisce percorsi vegetali intricati, lasciando fluttuare, tra foreste sontuosamente ornamentali, alcuni corpi solo apparentemente estranei. La contrapposizione c’è, ma rimane appena percettibile al primissimo sguardo, per poi impadronirsi idealmente dell’intera superficie, imponendosi come elemento portante perfino nella nostra memoria. È come se l’artista volesse generosamente nutrirci di grazia, per poi condurci alla constatazione della ineluttabile realtà – talvolta anche mostruosa – che inesorabilmente vi si annida, minacciandola.
Il percorso biografico e creativo di Georgina Spengler è ricco di esperienze e si estende geograficamente nei luoghi che hanno plasmato la sua sensibilità: l’Europa delle radici greche e austriache e degli studi in Olanda e a Parigi, gli Stati Uniti, con una lunga permanenza e formazione, e poi Roma, ad accogliere e sigillare un tracciato di conoscenza profonda della pratica pittorica.
Le radici greche sono lì: nella leggenda vitruviana del capitello corinzio, quelle austriache stanno nel rigore quasi scientifico della ricerca e dell’esecuzione che si celano dietro un’apparente estemporaneità. Dal rimando a William Morris e a quella cultura anglosassone prende vita la costruzione compositiva: ritagli recuperati da stratigrafie di un altro secolo, senza alcuna intenzione antiquaria, ma riportate a un’originale freschezza cromatica, completamente immersa nel nostro tempo, nel vivo delle sue contraddizioni d’ordine etico ed ecologista.
Dietro queste pennellate sicure, non c’è mera reiterazione, al contrario: c’è un’accurata ricerca di specie botaniche e animali a rischio di totale estinzione, una prassi che con il tempo ha generato un vero e proprio archivio iconografico e scientifico al quale l’artista attinge con acquisita consapevolezza. Per noi è un monito che trasforma di nuovo il nostro approccio, lo vivifica in maggior misura, lo colloca in un orizzonte di salvaguardia. Pur volendo alludere alle negligenze autodistruttive dell’umanità, l’artista ci rammenta gioiosamente l’abbondanza: la Pandaisía del titolo scelto per la mostra. Una cornucopia traboccante che si distende generosamente sulla tela, mostrando nel contempo dense nubi a tratteggio, quasi antiche incisioni, colature cromatiche che cambiano la rotazione del supporto suggerendo altre prospettive, o liberando sulla superficie esseri ‘ancora’ viventi. L’orrore del presente irrompe con aerei pronti a sganciare carichi di morte ad aree incancrenite da guerre mai concluse e Spengler, con l’eleganza dei suoi girali e dei suoi petali frastagliati, non dispensa illusioni, ma opera per sottrarci alle menzogne, rammentando ciò che stiamo per perdere attraverso scelte suicide e insensate. Di più: ci mostra ciò che universalmente dovremmo continuare fortemente a desiderare, la sopravvivenza vitale di ciò che di prezioso nutre l’umanità.
Lo sguardo d’artista di Georgina Spengler si spinge oltre l’orizzonte delle sue tele: non solo usa un antico mezzo espressivo, riuscendo ad essere pienamente presente al proprio tempo, ma sulle sue opere è anche in grado di far vibrare insieme sia la denuncia che la joie de vivre. Il suo invito alla Pandaisía è aperto: ci sembrerà di essere ospiti in un luogo a metà tra Wightwick Manor e il cortile accogliente di un’isola greca, dove il sapere delle mani, quelle femminili specialmente, è da sempre più che esercizio, un’arte di meditazione e di celebrazione della vita, da assaporare con gli occhi ben aperti sul mondo.