6 Ottobre — 25 Novembre 2023
testo critico di Lorenzo Canova

A 5 anni dalla scomparsa del pittore Angelo Titonel (1938 – 2018), Maja Arte Contemporanea è lieta di presentare per la prima volta al pubblico dieci dittici di grande formato (olii su tela e tavola, 105 x 190 cm, ognuno) che compongono l’ultima serie pittorica realizzata da Titonel tra il 2017 e il 2018, prima della sua improvvisa scomparsa avvenuta il 7 ottobre.

Come ricorda Lorenzo Canova: “Angelo Titonel è uno dei più importanti pittori figurativi della sua generazione, un artista capace di dialogare senza subalternità con i maggiori esponenti di un certo realismo europeo e dell’iperrealismo americano, con cui condivide molti elementi, conservando però i tratti originali del suo stile e del suo indirizzo teorico.”

In mostra ci “osservano” venti volti dipinti da Titonel i quali – accostati a due a due – formano una vera e propria installazione che ha “tutte le caratteristiche di un’opera concettuale che si confronta con la fotografia, aggiungendo però quell’elemento ‘esistenziale’ che si deposita nel passaggio tra pennello e supporto attraverso il colore e la mano del pittore.” – osserva Canova nel testo in catalogo.

“Il pittore compone così la sua narrazione silente mescolando etnie e geografie, continenti e tradizioni, oriente e occidente, il sud e il nord del pianeta, lasciando agli occhi il compito di testimoniare storie che non conosciamo ma di cui possiamo intuire gli esiti e che sono trasmesse da donne e uomini che (ci) guardano da un tempo sospeso tra il trascorrere rapido delle urgenze del presente e la sua sospensione in una dimensione parallela. […]

In un mondo dove l’elemento visivo sembra dominante nella sua dimensione effimera e transitoria, Titonel ci consegna così l’eredità di una ricerca densa e profonda sui meccanismi psichici, fisici e culturali del vedere, sugli sconfinamenti tra lo spazio digitale dei media contemporanei e le nuove possibilità di metamorfosi e di azione della pittura, sul mestiere antico di un artista-osservatore che si dedica ancora al legame invisibile tra chi osserva e chi viene osservato nei meandri circolari di un labirinto formato dall’intreccio dei rispecchiamenti e degli sguardi.”

Questa mostra vuole essere la prima di un ciclo espositivo volto ad esplorare nel tempo la vasta produzione artistica di Angelo Titonel, indagando di volta in volta una specifica serie di opere, dagli anni Settanta al 2018.

Selezione opere

Angelo Titonel
Verde e blu osservano, 2017
Enquire
Angelo Titonel
I due sentimenti, 2017
Enquire
Angelo Titonel
Indiana, 2017
Enquire
Angelo Titonel
Lo sguardo. Guardano con un solo occhio, 2018
Enquire
Angelo Titonel
Sguardo, 2018
Enquire
Angelo Titonel
Sguardo. Testa semifasciata, 2018
Enquire
Angelo Titonel
s.t., 2017
Enquire
Angelo Titonel
Cielo e terra, 2017
Enquire
Angelo Titonel
Francis Bacon, 2017
Enquire
Angelo Titonel
Velo nero, 2017
Enquire

Testo critico

Gli occhi che osservano

di Lorenzo Canova

Angelo Titonel è uno dei più importanti pittori figurativi della sua generazione, un artista capace di dialogare senza subalternità con i maggiori esponenti di un certo realismo europeo e dell’iperrealismo americano, con cui condivide molti elementi, conservando però i tratti originali del suo stile e del suo indirizzo teorico.

Già dagli anni Sessanta, Titonel ha realizzato infatti dei quadri di grande forza iconica segnati da un’icastica capacità di sintesi costruttiva, opere in cui il rapporto con la fotografia confina con uno sguardo iperreale, congelato tuttavia nella stasi metafisica dei vuoti e delle ombre, nelle forme delle architetture e degli oggetti magici e allucinati, nel rapporto misterioso tra le cubature di vuoto e la presenza delle figure nello spazio.

Si può notare come, in quegli anni, Titonel abbia dipinto spesso immagini di persone che indossano maschere da sub, occhiali da lavoro o caschi da pilota, forse uno sviluppo dei manichini metafisici o apparizioni di un’umanità artificiale, in quadri dove il volto e, in particolare, lo sguardo sembra essere volutamente nascosto e negato anche se la struttura dei quadri è comunque frutto di un’indagine accurata sui meccanismi della percezione.

Non è un caso, forse, che, anni dopo, il ciclo di opere di questa mostra sia stato preceduto, nel primo decennio di questo secolo, da un’altra serie di opere dove il pittore si è dedicato al tema delle mani umane e delle mani meccaniche dei manichini, dando forma ai codici di un linguaggio muto dove le dita compongono le parole senza suono di un articolato e coerente discorso visivo.

Così, dopo un altro ciclo sui volti solarizzati, appare quasi inevitabile l’approdo di Titonel al ciclo di quadri qui esposti, opere realizzate tra il 2017 e il 2018, poco prima della sua improvvisa scomparsa, che chiudono del suo lungo e intenso percorso di artista ma che sembrano piuttosto l’apertura, purtroppo interrotta, di un nuovo filone di ricerca.

Quella che, senza dubbio, resta intatta è la capacità dell’autore di trovare il centro delle sue immagini con una severa forza “architettonica”, come poteva accadere in precedenza con un edificio, una stazione o un treno che emergeva dall’ombra con una precisione e una chiarezza basate su un severo e raffinato pensiero progettuale.

La trasformazione evidente, invece, è quella del bianco assoluto in cui sono immerse le figure protagoniste dei quadri, erede della serie precedente dedicata alla solarizzazione, ma che si differenzia per la potenza “realistica” della messa a fuoco delle fattezze di donne e uomini che sembrano formare un unico e ininterrotto discorso sullo sguardo.

I dipinti si presentano, difatti, in modo eloquente con titoli come Osservano o, per l’appunto, Lo sguardo e sono declinati in una sola opera formata da più elementi, un lungo polittico composto da dieci dittici, dipanati sulle pareti come un racconto silenzioso o, forse meglio, una riflessione sviluppata con il linguaggio della pittura, in grado, come in questo caso, di elaborare dei concetti e di dargli forma con un’evidenza che altre discipline non possono possedere.

La scrittura e la parola, infatti, si fermano di fronte a questa successione di occhi e di volti esposti, coperti, negati e messi in dialogo con l’antropologia, la filosofia o la sociologia per incidere l’opacità del reale con un’energia unica e del tutto singolare di rivelazione.

Titonel coniuga con sapienza riferimenti mediatici e citazioni quotidiane, personaggi famosi e persone anonime, in un mosaico che rappresenta molto bene la complessità del nostro mondo e le sue possibilità e le difficoltà di comunicazione, le contaminazioni e gli scontri tra popoli e culture.

Tutto questo viene messo in evidenza attraverso gli occhi, anche quando sono nascosti o invisibili, strumento di relazione primario (non soltanto per un pittore) e che Titonel sapientemente pone al centro di queste opere, soprattutto quando la benda nera di Nick Fury o la mano di una ragazza ne cela uno, dando però più forza all’espressione dell’altro.

È pertanto innegabile che questa vera e propria installazione abbia tutte le caratteristiche di un’opera concettuale che si confronta con la fotografia, aggiungendo però quell’elemento “esistenziale” che si deposita nel passaggio tra pennello e supporto attraverso il colore e la mano del pittore.

Titonel gioca quindi al gioco dell’arte con consapevole spericolatezza, omaggiando lo spettatore-osservatore, i protagonisti delle sue opere, che osservano immobili, e il mestiere stesso dell’artista che osserva, lasciando memoria delle sue osservazioni attraverso il medium pittorico.

In questo contesto, emerge allora l’incessante dialettica tra mitezza e brutalità, tra dolcezza e orrore e, non a caso, questo ciclo parte proprio dallo sguardo obliquo di un pittore come Francis Bacon, uno dei massimi interpreti della crudeltà e della violenza che si nascondono non solo nei meccanismi del potere, ma anche nelle stanze della tortura della banalità quotidiana.

Il pittore compone così la sua narrazione silente mescolando etnie e geografie, continenti e tradizioni, oriente e occidente, il sud e il nord del pianeta, lasciando agli occhi il compito di testimoniare storie che non conosciamo ma di cui possiamo intuire gli esiti e che sono trasmesse da donne e uomini che (ci) guardano da un tempo sospeso tra il trascorrere rapido delle urgenze del presente e la sua sospensione in una dimensione parallela.

Questo percorso sembra dunque trovare, paradossalmente, il suo fulcro nei due dittici Sguardo (testa fasciata e testa semifasciata, 2018) dove proprio lo sguardo sembra essere però quasi assente, con le teste che si presentano girate accompagnando le due figure bendate, di cui una soltanto ha gli occhi liberi per trasmetterci un messaggio che appare potente e angoscioso, una vera e propria apparizione che emerge dalla prigione delle fasciature.

In un mondo dove l’elemento visivo sembra dominante nella sua dimensione effimera e transitoria, Titonel ci consegna così l’eredità di una ricerca densa e profonda sui meccanismi psichici, fisici e culturali del vedere, sugli sconfinamenti tra lo spazio digitale dei media contemporanei e le nuove possibilità di metamorfosi e di azione della pittura, sul mestiere antico di un artista-osservatore che si dedica ancora al legame invisibile tra chi osserva e chi viene osservato nei meandri circolari di un labirinto formato dall’intreccio dei rispecchiamenti e degli sguardi.

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