1 Giugno — 15 Luglio 2023
testo critico di Nora Iosia

Maja Arte Contemporanea è lieta di presentare la mostra “Une Comédie Romaine“, che segna l’esordio italiano dell’artista libanese Gilbert Halaby (Beirut, 1979).

A soli due mesi dal debutto al Museo Beit Beirut in Libano con la personale “Domus Berytus”, Halaby presenta a Roma circa trenta dipinti realizzati negli ultimi due anni.

Scrive Nora Iosia nel testo presente in catalogo:

“Roma è la città di elezione del pittore libanese, qui vive e lavora da molti anni, e proprio questo è il luogo in cui prende avvio la sua ricerca pittorica che dalla città eterna, dai personaggi che la popolano fondendosi alle architetture abbaglianti di luce, attinge a pieno la sua poetica direi del ‘bello assoluto’ immerso in quella dimensione spazio-temporale del carpe diem che Roma, come pochi luoghi al mondo, con la sua perpetua bellezza indifferente al trascorrere delle stagioni, mantiene intatta da sempre.

Nelle tele ‘romane’ di Gilbert appaiono personaggi senza volti, tutti compresi nei movimenti dei corpi e delle loro vesti agitate dall’aria del mattino, sagome di colore che si cristallizzano sulle tele di lino. L’artista esce fuori dal suo studio, tuffandosi nelle strade del centro, e voracemente, munito di telefonino, realizza brevi video là dove il suo occhio viene chiamato: sono le persone, o meglio alcuni personaggi specifici, che catalizzano l’attenzione di Halaby, che colleziona un grande numero di slow motions in cui vediamo scorrere a piedi, decisamente a ‘zonzo’, preti, cardinali, suore, barboni, ma anche artisti, tutti prima o poi consapevoli di essere catturati in brevi video a colori. Da questo materiale di immagini in movimento l’artista seleziona dei fermo immagine, ne studia le numerose angolature, da cui emerge costantemente l’architettura come tessuto narrativo forte e chiaro, che stabilisce nuove regole del gioco delle parti tra tempo presente e tempo passato […].

Una parte dei dipinti di Gilbert Halaby prende avvio dalla raccolta di questi video, che viene frammentata e ricomposta in tele di medio-piccolo formato, in cui i colori ad olio sono usati allo stato puro, unico tratto a ridisegnare le sagome e le forme di scene cittadine senza ombre e senza rimpianti per ciò che non appare. Tutto è colore, tutto si stende sulla superficie in accordo tra visione e immaginazione. La pittura modella lo spazio direttamente, coraggiosamente e in maniera sfrontata sulla tela. Il blu, il rosso, il giallo, il rosa, il nero, il bianco, il verde smeraldo sono note assolute, non ammettono ‘sfumature’ alla loro forza brillante e fanciullesca, si accordano e trovano la loro ragione di essere nella composizione narrante: lo sguardo viene accolto in una rinnovata felicità dell’occhio che vuole escludere la aggrovigliata complessità dei dettagli, per esaltare la fugace impressione dell’insieme, l’intuizione del tutto pieno.”

Selezione opere

Gilbert Halaby
Our Father Browne, 2023
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Gilbert Halaby
Visitors, 2022
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Gilbert Halaby
Frame Me!, 2022
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Gilbert Halaby
After A Heavy Lunch At Pierluigi, 2023
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Gilbert Halaby
Via del Pellegrino, 2023
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Gilbert Halaby
Ti ho beccato da vicino, 2023
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Gilbert Halaby
Enzo, 2022
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Gilbert Halaby
Suor Lucilla, 2022
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Gilbert Halaby
The Promenade, 2022
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Gilbert Halaby
Fuchsia At Last, 2023
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Gilbert Halaby
Mi hai fatto correre, 2023
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Gilbert Halaby
La' fuori, 2023
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Gilbert Halaby
Philosophizing Under The Rain, 2023
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Gilbert Halaby
A piedi nudi. Margareth e Kate, 2022
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Gilbert Halaby
Mi sfuggi sempre, 2023
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Gilbert Halaby
Isabella II, 2023
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Gilbert Halaby
Towards The Hellenism, 2023
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Gilbert Halaby
"He Knows", 2022
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Gilbert Halaby
Il saggio a Piazza Navona, 2023
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Gilbert Halaby
Il saggio al Pantheon, 2023
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Gilbert Halaby
Il saggio a Monserrato, 2023
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Gilbert Halaby
Inés, 2023
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Gilbert Halaby
Fabula Praetexta, 2023
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Gilbert Halaby
Entr'acte, 2023
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Gilbert Halaby
Heaven Or Hell, 2023
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Gilbert Halaby
Plant A Tree, 2022
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Gilbert Halaby
Confessions, 2023
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Testo critico

Une Comédie Romaine

di Nora Iosia

Le opere di Gilbert Halaby, poco dopo la loro uscita in mostra a Beirut, città natale dell’artista, vengono esposte in una mostra personale a Roma alla galleria Maja Arte Contemporanea. Roma è la città di elezione del pittore libanese, qui vive e lavora da molti anni, e proprio questo è il luogo in cui prende avvio la ricerca pittorica di Halaby che dalla città eterna, dai personaggi che la popolano fondendosi alle architetture abbaglianti di luce, attinge a pieno la sua poetica direi del “bello assoluto” immerso in quella dimensione spazio-temporale del “carpe diem” che Roma, come pochi luoghi al mondo, con la sua perpetua bellezza indifferente al trascorrere delle stagioni, mantiene intatta da sempre.

Nelle tele “romane” di Gilbert appaiono personaggi senza volti, tutti compresi nei movimenti dei corpi e delle loro vesti agitate dall’aria del mattino, sagome di colore che si cristallizzano sulle tele di lino.

L’artista esce fuori dal suo studio, tuffandosi nelle strade del centro, e voracemente, munito di telefonino, realizza brevi video là dove il suo occhio viene chiamato: sono le persone, o meglio alcuni personaggi specifici, che catalizzano l’attenzione di Halaby, che colleziona un grande numero di slow-motions in cui vediamo scorrere a piedi, decisamente a “zonzo”, preti, cardinali, suore, barboni, ma anche artisti, tutti prima o poi consapevoli di essere catturati in brevi video a colori.

Da questo materiale di immagini in movimento l’artista seleziona dei fermo immagine, ne studia le numerose angolature, da cui emerge costantemente l’architettura come tessuto narrativo forte e chiaro, che stabilisce nuove regole del gioco delle parti tra tempo presente e tempo passato: nell’attimo stesso in cui il gesto del camminare dei personaggi ripresi (i piedi, i corpi e le vesti in cammino verranno resi sulla tela con poche e sapienti indicazioni) suggerisce il passare del tempo, intervallando il prima con il poi, lo sfondo architettonico impone allo sguardo una gioiosa asserzione di eterno “hic et nunc”.

Una parte dei dipinti di Gilbert Halaby prende avvio dalla raccolta di questi video, che viene frammentata e ricomposta in tele di medio-piccolo formato, in cui i colori ad olio sono usati allo stato puro, unico tratto a ridisegnare le sagome e le forme di scene cittadine senza ombre e senza rimpianti per ciò che non appare. Tutto è colore, tutto si stende sulla superficie in accordo tra visione e immaginazione. La pittura modella lo spazio direttamente, coraggiosamente e in maniera sfrontata sulla tela. Il blu, il rosso, il giallo, il rosa, il nero, il bianco, il verde smeraldo sono note assolute, non ammettono “sfumature” alla loro forza brillante e fanciullesca, si accordano e trovano la loro ragione di essere nella composizione narrante: lo sguardo viene accolto in una rinnovata felicità dell’occhio che vuole escludere la aggrovigliata complessità dei dettagli, per esaltare la fugace impressione dell’insieme, l’intuizione del tutto pieno. Assenti infatti i lineamenti dei volti, il carattere dei personaggi si rivela attraverso un colpo d’occhio che ne determina i tratti essenziali. Emergono le proporzioni dei corpi nello spazio, il ritmo dei passi è reso nella sua unicità, diremmo a ciascuno il proprio posto nel mondo, a ciascuno il proprio cammino.

C’è una radicale e costante necessità iniziale di elaborare e stabilire le forme, renderle riconoscibili e codificabili, per poi, in un passo successivo, provarne tutte le possibili combinazioni spazio temporali, portando all’estremo la apparente esiguità dei dettagli formali. Tutto è gioco ed essenzialità, tutto accade senza ripensamenti perché, a mio parere, Gilbert Halaby possiede una qualità naturale misteriosa: “l’occhio assoluto”, che è assimilabile al più noto “orecchio assoluto”, ovvero la dote innata che alcuni possiedono e scoprono venendo al mondo di riconoscere l’altezza naturale dei suoni che li chiama spontaneamente al nome e alla vibrazione di ogni singolo suono o rumore che arriva all’orecchio. In tale maniera “l’occhio assoluto” di Gilbert decodifica il linguaggio delle immagini e dei colori isolandolo dal caos del quotidiano divenire, quasi in un abbaglio, trattiene spicchi di reale e li trasforma in nuove visioni, in infinite possibilità, declinando il rumoroso mondo dettagliato ad una nuova prospettiva estetica, nuovo linguaggio delle forme e dei colori, nuova armonia. Questo processo della visione nel lavoro di Halaby non è esente da pathos, perché ciò che non trapela sussiste: le ombre, che sono deboli aloni, macchie d’olio di lino sulla tela, sono lasciate a suggerire che trascorso il giorno che rivela la forza della luce e la caparbia persistenza del colore, arriverà la notte a rendere inaccessibile ogni visione: non si può che vivere dentro frammenti di opposti e attendere con fiducia che la luce apra ad un nuovo giorno.

Artisti esposti

Gilbert Halaby
 

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