Maja Arte Contemporanea è lieta di annunciare la prima collaborazione della galleria con l’artista performer Marta Jovanović.
L’opera presentata per l’occasione – Motherhood – è la trasformazione scultorea della omonima performance tenuta da Jovanović nel febbraio 2016 presso lo spazio O3one Gallery di Belgrado, durante la quale aveva colpito con un martello – rompendole una ad una – 246 uova appese al soffitto: tante uova quanti i giorni fertili, dal primo menarca dell’artista alla data della performance.
Successivamente i gusci frantumati sono divenuti sculture uniche, realizzate in rame elettroformato, numerate e placcate in oro 24K.
“Ogni uovo che ho rotto durante la performance è una opportunità di maternità mancata in favore dell’arte”, afferma con una punta di ironia Jovanović, che ha così trasformato alchemicamente quanto di più sacrilego sarebbe potuto accadere in un mondo distopico come quello narrato da Margareth Atwood ne “Il racconto dell’ancella”.
Osserva Anja Foerschner: “Attraverso questo lavoro, Jovanović fornisce un’ironica contro prospettiva alla distruzione delle sue uova durante la performance: non solo queste vengono accuratamente restaurate per l’installazione, ma le sue opportunità sprecate sono letteralmente trasformate in oro.”
Se Motherhood come performance nasce da un momento di profonda trasformazione personale che aveva portato Jovanović a rivalutare alcune scelte di vita e a riflettere sullo status di “donna artista” in una società ancora oggi fortemente patriarcale, l’installazione prende sorprendentemente una direzione trasformativa catartica. Siamo accolti da una luminosa costellazione dalle uova d’oro, gusci custodi di desideri in viaggio verso la loro luna, dove – accanto al senno – si raccoglie ciò che si perde, o semplicemente ciò che si trasforma.
L’allestimento è a cura di Sauro Radicchi.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte l’occurrenze nostre:
sol la pazzia non v’è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.
– Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso (Astolfo sulla luna)
Selezione opere
Gallery
Testo critico
Motherhood (Maternità) - MARTA JOVANOVIĆ
di Anja Foerschner
L’installazione “Motherhood” è il frutto dall’omonima performance che Marta Jovanović ha tenuto nel febbraio del 2016 presso la galleria O3one di Belgrado.
La performance nasce da un’esigenza profondamente personale dell’artista di riesaminare le sue scelte di vita e la sua condizione di artista-donna in un mondo patriarcale. Dopo aver subito una trasformazione radicale nella vita privata che l’ha costretta a rivalutare il suo percorso fino a quel momento, il suo passato e il suo futuro, Jovanović ha dovuto scegliere, ancora una volta, tra la visione della donna da parte della società e la sua strada. Questo scisma è simboleggiato nella performance dalle uova crude che Jovanović ha colpito e rotto una ad una con un martello. Il numero di uova è stato scelto con cura e precisione, corrisponde infatti alla somma dei suoi giorni fertili, dal primo menarca all’età di 16 anni, fino a quel momento. Afferma Jovanović – con un sorriso ironico – che ogni uovo che ha rotto durante la performance simbolicamente rappresenta la possibilità di diventare una “vera donna” e una madre che ha “sprecato per l’arte”.
Jovanović ha affrontato al tempo una decisione che molte donne devono prendere e che per la maggior parte di loro è accompagnata da un dubbio sostanziale e da una sensazione di lacerazione paralizzante: voglio diventare madre o voglio proseguire la mia carriera? È una decisione che mette a dura prova le relazioni. Certo, non deve necessariamente essere un aut-aut, ma a volte lo diventa. E quali saranno le implicazioni? Mi pentirò di essere diventata madre e moglie e di aver sospeso la mia carriera o addirittura abbandonata del tutto? Avrò il desiderio di maternità una volta che non ne avrò più l’opzione? Anche se al giorno d’oggi i contraccettivi e i crescenti, ma ancora insufficienti, sistemi di sostegno per le donne hanno almeno reso possibile una scelta, quella scelta deve ancora essere fatta e le sue conseguenze, che sono importanti e a lungo termine, devono essere ponderate attentamente.
Nella sua trasformazione scultorea, “Motherhood” è concepita come un’installazione contenente 267 uova (conteggio al dicembre 2017). È un work-in-progress, il futuro dell’artista è impossibile da prevedere: sarà solo attraverso la gravidanza o l’ingresso in menopausa che lo stato finale dell’opera sarà determinato. Le uova crude utilizzate nella performance “Motherhood” sono state successivamente trasformate in sculture uniche nell’omonima installazione, dove ogni uovo è realizzato in rame elettroformato e placcato in oro 24K.
Attraverso questo lavoro Jovanović fornisce un’ironica contro-prospettiva alla distruzione delle sue uova durante la performance: non solo le uova vengono accuratamente restaurate nell’installazione, ma esse – e quindi le sue opportunità “sprecate” – sono state persino letteralmente trasformate in oro.
Motherhood - MARTA JOVANOVIĆ
di Fabrizio Pizzuto
Non così semplice.
Una distesa in volo, un mare che fluttua, ma il davanti è la posizione: il mare fluttua davanti, disteso in verticale. La gravità è invertita perché non è una dimensione consueta, e nemmeno del tutto simbolica. Reale, davanti a noi, stropicciamo gli occhi ma siamo svegli.
Il mare danza immobile denso di vita e assenza di contesto. Questo è il tema: vita, vita dorata, vita aperta, forse dispersa. Le onde si consolidano in ovali come parole dette in sequenza, congelatesi davanti a noi dall’ultima ondata. Sembravano ossessivamente uguali in partenza ma hanno desinenze diverse, che sono le aperture, il vuoto spezzato, il senso dell’essere al mondo, il divin parlato che dice il mondo. Come immagine e somiglianza significa uguale e diverso al contempo. Nell’afflato c’è la nascita, tema sotteso galleggiante tra le spire di un vento leggero che muove le parole, le quali rimangono davanti solide come rocce di sale pronte a sgretolarsi ma che invece resistono.
Sebbene ferite, spezzate, colpite, mancanti, le parole sono materia, la materia è presto ricordo, persistenza della retina, ferite interiori, mancanze. Il vuoto ottenuto dal colpo rimane a ricordarci che tutto era presente, perfetto ed eterno.
Tutto questo avviene in un ambiente che apre a nuove capacità di percepirsi, avvolti da un pensiero e penetrati da nuvole solide come rare certezze nella mente dell’improbabile essere vivi e costanti. È uno spazio dell’essere femminile, infine, percorribile da tutti, ascoltabile sempre ma non da tutti esperibile. Uno spazio dell’ovulo visto come senso stesso, origine del mondo di Courbet, nuova prospettiva aperta di un pensiero visivo volutamente ambiguo. Infine spazio che si attraversa sovrastati da questa solidificazione, appesa, aperta, tentennate e tintinnante, congelatasi nella percezione, in assenza di vento.